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Nonostante il termine 'ecofemminismo' (dal francese écoféminisme) sia stato coniato solo nel 1974 da Françoise d'Eaubonne, il movimento ecofemminista si propone sin dagli anni '60 del secolo scorso di indagare le connessioni esistenti tra il sessismo e altre due forti espressioni del dominio umano: l'abuso delle risorse naturali e la discriminazione degli animali non-umani. I tre fenomeni sono per certi versi visti come così interconnessi (concettualmente, storicamente, socialmente e politicamente), da non potere essere né adeguatamente compresi se non congiuntamente, né affrontati se non in un unico blocco. Ciò che l'ecofemminismo sottolinea è che, in un mondo caratterizzato dalla supremazia maschile, donne, ambiente e animali non-umani appartengono a categorie profondamente affini, considerate infatti per secoli come 'proprietà animate' o 'beni mobili' del tutto analoghi. Per affrontare la questione ambientale e quella animale non è dunque sufficiente riposizionare la vita umana in termini naturali e la natura in termini etici. Ciò che occorre è smascherare le premesse stesse dell'oppressione e, una volta superata ogni forma di dualismo gerarchizzante, promuovere una visione relazionale della realtà capace di supportare, anche tramite espedienti tipici della narrativa, un'etica simpatetica da affiancare a quella più tradizionale.